giovedì 30 giugno 2011

LA LIBERTA' NON SI TOCCA!

Ieri pomeriggio, a piazza Verdi, quasi al finire dell'iniziativa MICROFONO APERTO - DEMOCRAZIA di STRADA la digos ha distrutto uno striscione contro il TAV su cui era scritto "MARONI BOIA", strappandolo mentre alcuni partecipanti al presidio lo stavano mostrando. La piazza ha reagito in modo deciso e si sono susseguiti momenti di tensione fra le due parti, fino a quando gli agenti decidono di allontanarsi, accompagnati dai cori dei manifestanti. Quanto abbiamo visto è una grave dimostrazione di intolleranza verso le libertà di pensiero e di espressione; libertà che noi, come anarchici, saremo sempre pronti a difendere!

sabato 28 maggio 2011

SOLIDARIETA' ALLE POPOLAZIONI DELLA VAL SUSA


Le popolazioni della Val Susa ormai da anni portano avanti una lotta contro la devastazione dei luoghi in cui vivono, minacciati dal progetto TAV, la linea per il Treno ad Alta Velocità che dovrebbe collegare Torino a Lione.
In questi ultimi giorni le mobilitazioni popolari hanno riguardato la zona della Maddalena di Chiomonte, dove gli operai delle ditte che dovrebbero aprire il cantiere sono stati ostacolati dalla resistenza dei molteplici comitati formatisi in tutta la Valle. Il presidio permanente, iniziato il 21 Maggio, è formato da donne, uomini, giovani e meno giovani, tutti uniti nella consapevolezza che quest’opera sia non solo inutile (costosi treni superveloci al servizio delle grandi imprese, per trasporto merci ), ma anche dannosa (per i pericoli connessi alla perforazione dei monti ricchi di amianto). I governi, sia di destra che di sinistra, portano avanti il progetto millantando progresso e ricchezza, pressati dalla Unione Europea che ha stanziato 671 milioni di euro per l’opera; ma la vera ricchezza andrà nelle loro tasche e in quelle delle società vincitrici degli appalti, Martina e Ital.co.ge.
Alla Maddalena di Chiomonte sono state erette barricate, con tronchi d’albero, massi, pezzi di guard-rail e vecchie traversine. Carabinieri e polizia hanno abbandonato la strada alle prime ore del mattino del 24 Maggio, respinti da grida, slogan, canti e non solo. Una resistenza, che a molti ricorda quella partigiana -sui monti e nei boschi, dove vince la gente che conosce il territorio- per difendersi dal saccheggio e dalla distruzione.
Noi esprimiamo la più totale solidarietà alle popolazioni della Val Susa, che con determinazione e coraggio resistono ormai da anni, anche contro un accanimento mediatico teso a criminalizzare il Movimento. Gli abitanti della Val Susa dimostrano giorno dopo giorno che vogliono essere loro stessi a decidere sul loro futuro e su quello dei luoghi in cui vivono, desiderando comunque dei servizi per tutti, compresa una rete ferroviaria adeguata ed efficiente, che non sventri, tuttavia, la Valle e le montagne in cui vivono.
Il movimento No TAV è un esempio di movimento partito dal basso, costituito da coordinamenti fra comitati ed assemblee locali, e dimostra che solo tramite l’autogestione del territorio e l’autogoverno si può costruire una società di liberi ed eguali volta a migliorare le condizioni di vita di tutti e a perseguire ed affermare i veri interessi delle comunità.

LE LIBERTÀ NON SI CONCEDONO, SI PRENDONO!

Coordinamento Anarchico Palermitano

domenica 22 maggio 2011

L’AMORE È UN ATTO DI RIVOLTA


Nella società in cui viviamo, il sesso è usato come un’arma impugnata per discriminare gli individui e condizionarne le scelte.
Sappiamo bene chi è in prima linea a combattere la libera espressione dell’amore e della sessualità: i perbenisti, i moralisti, i reazionari di ogni tipo.
Ovvero, tutti quelli che non hanno rispetto degli altri e pensano di potere imporre la loro visione del mondo sulla base del loro potere, della loro influenza, della loro violenza.

Tra di loro troviamo campioni d’ipocrisia, a cominciare dai tanti preti che alla luce del giorno fanno le loro pie prediche, e all’ombra delle sagrestie ricattano e violentano bambini e ragazzi, segnandoli per sempre.

Per non parlare dei molti politicanti che pubblicamente difendono la “famiglia tradizionale” e poi, magari, vengono beccati in inconfessabili orge, alla faccia della loro tanto esaltata integrità morale.

Poi ci sono i soliti fascisti, servi del potere, frustrati e repressi, che insultano e aggrediscono per le strade chi non si conforma ai loro deliranti pregiudizi, sia che si tratti di omosessuali, immigrati, o altri soggetti-oggetti del loro odio razzista.
Per tutta questa gente è inconcepibile anche la basilare libertà di esprimere il proprio amore al di là delle barriere e dei pregiudizi, manifestando senza paura la propria inclinazione affettiva e sessuale.

Di fronte a questo desolante quadro di oppressione, non ci si può più limitare alle pur comprensibili richieste di diritti o di riconoscimenti istituzionali.

Ogni conquista passa attraverso un atto di rivolta. L’amore che nasce al di là dei conformismi, tra individui liberi e consapevoli, è di per sé un atto di rivolta: per questo chi comanda cerca sempre di controllarlo e schiacciarlo.

Per combattere le logiche autoritarie e di sfruttamento che stanno alla base della discriminazione bisogna smascherare l’ipocrisia e sradicare l’odio, vivere i sentimenti con orgoglio e a viso aperto, tendere alla piena realizzazione di ogni essere umano in un mondo di liberi ed eguali, senza più steccati fisici o mentali.

COORDINAMENTO ANARCHICO PALERMITANO

GRUPPO ANARCHICO “ANDREA SALSEDO” - TRAPANI

lunedì 25 aprile 2011

LA RESISTENZA CONTINUA


Palermo, Giardino Inglese, 25 aprile 2011

giovedì 21 aprile 2011

Lo Zen e gli anarchici

Con queste poche righe vogliamo esprimere la nostra solidarietà agli studenti, ai docenti e ai lavoratori dell'Istituto Comprensivo "Giovanni Falcone" di Palermo per gli attacchi vandalici subìti dalla loro scuola. Sappiamo bene che non si tratta del primo caso: più volte questa scuola è stata fatta oggetto di gravi danneggiamenti e vandalismi. Anche noi riteniamo che episodi di questo tipo siano riconducibili a una miscela perversa fatta di degrado sociale e disprezzo per il bene comune, elementi su cui alligna la cultura mafiosa.


Lo Zen è uno dei quartieri più disagiati della periferia di questa città, scientificamente realizzato con la deportazione dal centro storico dei palermitani più poveri che furono poi letteralmente abbandonati a loro stessi. Un quartiere privo di servizi sociali, senza infrastrutture, lasciato in balìa del crimine e del malaffare, preso in considerazione dalla classe dirigente di questa città solo in vista delle scadenze elettorali per alimentare le solite dinamiche clientelari di cui si giovano i politici e i mafiosi.
In questo scenario di desertificazione sociale, la Scuola "Falcone" è un'oasi di cultura e di socializzazione libera dal potere mafioso. E per questo dà fastidio.


L'ultimo attacco subìto dalla scuola ha un chiaro sapore provocatorio. Al repertorio tipico dell'intimidazione mafiosa (bare e croci vergate con lo spray) si è aggiunta pure una improbabile A cerchiata. Fortunatamente, la stampa locale ha correttamente ridimensionato la circostanza, comprendendo che gli anarchici in questa storia non c'entrano nulla. Allo stesso tempo, uno degli animatori di Zone Energie Nuove - Gaetano Guarino - ha correttamente dichiarato che «gli anarchici non disegnano croci e bare» (la Repubblica ed. Palermo, 21/04/2011, pag. VII).


Purtroppo, c'è stato chi - come un tale Walter Giannò (al quale inviamo copia della presente) - non si è lasciato sfuggire l'occasione di incolpare gli anarchici, con un articolo dal titolo a effetto: "Gli anarchici allo Zen e la morte dello Stato" (http://www.impresapalermo.it/2011/04/gli-anarchici-allo-zen-e-la-morte-dello-stato/).
Eppure, Giannò sembra avere un minimo di dimestichezza con la storia del pensiero e del movimento libertario. Tant'è che, assai correttamente, scrive che «l’Anarchia, tra l’altro, non può essere propria della mafia. Perché ha una concezione politica basata sull’idea di un ordine fondato sull’autonomia e la libertà degli individui e va contro ogni forma di Stato e potere costituito. Ed anche Cosa Nostra, ovviamente, è un potere che è suddiviso gerarchicamente, dove non esiste la libertà degli individui ma domina la volontà di chi sta ai vertici dell’organizzazione. L’anarchia e la mafia, insomma, esistono su due ambiti contrapposti».
Tutto giusto. A questo punto non comprendiamo davvero il titolo scelto da Giannò e le conclusioni cui perviene: quei quattro simboli (la A cerchiata, la bara, la croce e uno scarabocchio) rappresenterebbero un messaggio «contro l’incapacità dello Stato di rispondere alle esigenze e ai bisogni degli individui». Perché mai, allora, sarebbero stati gli anarchici ad attaccare la Scuola "Falcone"?


Probabilmente, l'equivoco sta - da una parte - nell'abuso dei termini e dei simboli legati al nostro Movimento, e - dall'altra - nella convinzione (a noi estranea) che la Mafia vinca lì dove perde lo Stato. Se a questo aggiungiamo un pizzico di sensazionalismo a buon mercato, il quadro è più nitido.
Potremmo dilungarci parecchio sulla nostra analisi del fenomeno mafioso e della sua genetica complementarità alle istituzioni statuali. Se lo Zen versa in queste condizioni, infatti, è perché lo Stato vuole così. Il degrado, la miseria, la violenza, le ingiustizie sociali sono tutti naturali prodotti del potere, dell'interesse economico, della società gerarchica in cui viviamo. L'abbrutimento è funzionale al dominio, così come l'ignoranza e la povertà.
Ma per essere anarchici non basta essere contro lo Stato, o desiderarne l'estinzione.

Per essere anarchici ci vuole, innanzitutto, un approccio solidale nei confronti di tutti gli uomini e dell'ambiente che ci circonda, un rispetto profondo per la libertà altrui, un insopprimibile desiderio di uguaglianza e di reciprocità. Tutte cose che sono estranee alle logiche del potere, e quindi tanto dello Stato quanto della Mafia.
Potremmo, infine, soffermarci sul contributo libertario alla pedagogia e sull'attiva presenza di docenti e studenti anarchici nelle scuole e nelle università italiane: tanto basterebbe a fugare qualunque dubbio sulla responsabilità dei vandalismi alla "Falcone".
Invece, ci fermiamo qui, fiduciosi nell'intelligenza di quanti sanno distinguere tra anarchici, mafiosi, e personaggi in cerca d'autore.


Coordinamento Anarchico Palermitano


coordanarchicopa@libero.it

http://coordanarchicopa.blogspot.com


22/04/2011


mercoledì 23 marzo 2011

SOLO DOLORE

I compagni s’erano pure loro fatti indietro, tranne uno, che era rimasto a terra. Massimo decise che quello avrebbe pagato per tutti e fece scattare la sua lama, il braccio lungo sulla gamba. Il compagno stava cercando di tirarsi in piedi, i suoi l’avevano lasciato, quando in due balzi Massimo l’aveva raggiunto affondando il coltello nel gluteo pieno. «Così non ti dimentichi» gli aveva sussurrato, quasi a scusarsi, prima di andare.

Tratto da: D. Di Tullio, Nessun Dolore - una storia di CasaPound, Rizzoli, 2010, pag. 73.

Poche righe, ma molto chiare. Il Massimo che accoltella un antifascista in terra dopo uno scontro notturno è un militante neofascista. Grande coraggio e senso dell’onore.

Eppure, il romanzo che racconterebbe nascita e sviluppo di CasaPound è scritto bene (nulla di memorabile, ma quanto basta per filare via liscio), e si può considerare un’astuta operazione di propaganda.
Un po’ come tutto il progetto di CasaPound, d’altronde: vecchi arnesi del neofascismo italiano che affondano a piene mani nel linguaggio, nei temi e perfino nella simbologia della sinistra antagonista da mischiare con i classici cavalli di battaglia della destra radicale: senso di appartenenza, onore, fedeltà, nazionalismo, razzismo, sessismo, violenza. Niente di nuovo, in verità: il motto di Terza Posizione recitava proprio “né destra né sinistra”, un po’ come quando Blocco Studentesco blatera nei cortei “né rossi né neri ma liberi pensieri”.

La confusione è quello che serve ai fascisti di CasaPound per pescare nel torbido. E per rivelarsi quello che sono: opportunisti che rivendicano una natura rivoluzionaria, ma che puntualmente ricorrono alla protezione dei politici e delle forze dell’ordine per portare avanti le loro infamità. E poi c’è il vizietto, sempre duro a morire, di usare le parole a sproposito:

Dalla Santa Teppa, il nucleo originale di fasci eretici e anarchici insofferenti, è nato il gruppo degli Zetazeroalfa, e quindi tutto quello che è venuto dopo, compresi CasaPound e, ora, il giovane Blocco Studentesco.

Tutto il libro di Domenico Di Tullio è un continuo strizzare l’occhio all’antagonismo, alla presunta natura proletaria del fascismo anche quando i loro militanti provengono dall’agiata borghesia romana. E poi muscoli e botte, palestra e sudore, cameratismo e aggressioni, obbedienza e culto del capo. E se uno di loro sbaglia ad attaccare un manifesto, saranno di certo flessioni su flessioni di punizione.

Nessun dolore è una grossa bugia. Un libro di propaganda travestito da operazione culturale o di costume. Un testo in cui antifascisti, immigrati, donne, omosessuali sono più volte insultati con battute a effetto impregnate di qualunquismo. Un lettore poco informato sulla realtà delle cose, sugli atti criminali perpetrati da CasaPound, rischia di rimanere affascinato.

Noi, che i libri li leggiamo, non possiamo che disprezzare ancora di più il fascismo dopo la lettura di questo testo. C’è solo dolore in queste pagine: il dolore di chi mortifica l’umanità.

COORDINAMENTO ANARCHICO PALERMITANO


martedì 1 marzo 2011

CONTRO IL RAZZISMO DI STATO


Oggi, 1° marzo, è giornata di mobilitazione nazionale degli immigrati, uno sciopero per farsi vedere e sentire, rivendicare libertà e diritti. Questo giorno è dedicato, in tutta Italia, a Noureddine Adnane, il ragazzo marocchino di 27 anni che s’è dato fuoco a Palermo per protestare contro i continui controlli, i verbali e le vessazioni dei vigili urbani palermitani.

Non è facile vivere in Italia se sei immigrato. La legge attuale ti rende la vita impossibile.
Per entrare legalmente in questo paese ci vuole il permesso di soggiorno, ma per ottenerlo devi dimostrare di avere già un lavoro in Italia: cosa semplicemente impossibile per chi emigra proprio alla ricerca di un’occupazione! Dunque, se non hai il permesso di soggiorno sei “clandestino”. E se sei clandestino, vieni rinchiuso per sei mesi in un Centro d’Identificazione ed Espulsione. Finisci dietro le sbarre solo perché non hai i documenti. E poi ti rimandano al tuo paese, dove magari c’è la guerra o la miseria più nera. Può anche darsi che ti lascino andare con un foglio di via, ma se ti ribeccano in giro ti sbattono in galera, perché la clandestinità è un reato penale. Puoi diventare clandestino anche dopo anni di lavoro regolare: ti eri fatto una famiglia, una vita, gli amici, ma la crisi morde e i padroni sono spietati. Il permesso di soggiorno ce l’hai finché hai un contratto di lavoro. Se ti licenziano, perdi il permesso e rischi di essere arrestato e deportato dopo anni di sacrifici.

A che serve tutto questo?
Serve ai padroni innanzitutto. Quando sei clandestino non esisti e non hai diritto a niente. Lavori come uno schiavo e devi stare zitto per paura di essere denunciato. Nei campi, nelle fabbriche, nei cantieri, l’Italia va avanti grazie al sudore e al sangue degli immigrati. La clandestinità si traduce, di fatto, in un potere di ricatto nelle mani di chi sfrutta i lavoratori.

A che serve tutta questa repressione?
Serve ai politici, per scaricare sui più deboli le loro responsabilità, per terrorizzare la gente facendo credere che tutto va male per colpa degli stranieri, per alimentare il razzismo inducendo un ossessivo bisogno di sicurezza, per abituare le persone a livelli sempre più bassi di tutele e diritti, per scatenare guerre tra poveri che fanno solo il gioco di chi siede sulle poltrone del potere.

E a noi che importa?
Ci importa eccome! Ci importa perché la libertà degli immigrati è la nostra libertà, perché i diritti di uno sono i diritti di tutti, a prescindere dal colore della pelle o dal posto in cui si è nati. Il razzismo di stato serve a plasmare una società sempre più impaurita e sempre meno libera, fondata sulla discriminazione e sullo sfruttamento: una società umanamente insostenibile.
Sono anni che lottiamo contro tutto questo, e non smetteremo mai finché non saranno abolite le leggi razziste, finché non saranno chiusi i centri di detenzione per immigrati, finché non saranno distrutte le frontiere fisiche e culturali che dividono le donne e gli uomini del mondo.
Non può e non deve essere una lotta di pochi, perché in gioco c’è la libertà di tutti!

Coordinamento Anarchico Palermitano


venerdì 18 febbraio 2011

LA LEGGE BRUCIA LA VITA


Noureddine Adnane è morto alle 11 di oggi, 19 febbraio 2011.
Il testo che segue era stato redatto poche ore prima, ma sarà ugualmente diffuso durante la manifestazione cittadina di questo pomeriggio, già convocata nei giorni scorsi per solidarizzare con Nouraddine e i suoi familiari.

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Noureddine Adnane ha 27 anni ed è nato in Marocco. Vive in Italia dal 2002 e si guadagna da vivere facendo l’ambulante. Lo conoscono tutti nel quartiere, e tutti gli vogliono bene.
A Palermo i venditori ambulanti, specialmente immigrati, devono fare i conti con la polizia municipale: retate nei mercatini, ispezioni, multe, sequestri della merce, intimidazioni. Noureddine non è un abusivo, ma aveva ricevuto la visita dei vigili urbani per cinque volte in una settimana: davvero troppo per chi deve sbarcare il lunario tra mille difficoltà.
E così, Noureddine si è sentito solo e in preda al panico, ha preso la benzina, se l’è buttata addosso, e s’è dato fuoco.
Questo è il prodotto dell’esasperazione che nasce dalla repressione dilagante nei confronti degli immigrati, dei poveri, dei senza-carte.
A Palermo è in vigore dall’anno scorso la famigerata ordinanza per il “decoro urbano”, uno dei tanti provvedimenti con cui – in tutta Italia – i sindaci hanno applicato le direttive del “pacchetto-sicurezza”. La legalità si svela per quello che è realmente: l’esercizio del potere per schiacciare i più deboli.
Secondo tale logica legalitaria, la “sicurezza” viene garantita perseguitando i soggetti più vulnerabili, come se in questa città il problema fossero i lavavetri ai semafori o gli ambulanti che vendono la roba sui marciapiedi.
Noureddine voleva solo lavorare in pace e il suo gesto è un urlo assordante contro l’ingiustizia e la criminalità del potere. Noi questo urlo lo ascoltiamo e lo sbattiamo in faccia ai responsabili della sofferenza di Noureddine e di tutti quelli che ogni giorno subiscono questi soprusi.

UNIAMOCI E RIBELLIAMOCI CONTRO IL POTERE E L’INGIUSTIZIA!

Coordinamento Anarchico Palermitano

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LA LOI QUI BRULE LA VIE

Nouredinne Adnane a 27 ans. Il est né au Maroc mais il vive en Italie depuis 2002. Il gagne sa vie en faisant l’ambulant et, dans le quartier, tout le monde le connaît et tout le monde l’aime bien.
A Palerme les vendeurs ambulants, surtout les immigrés, doivent faire les comptes avec la police municipale: raffles dans les marchés, inspections, amendes, réquisitions de la marchandise, intimidations. Nouredinne n’est pas abusif mais il a reçu la visite de la police municipale cinq fois dans une semaine: vraiment trop pour quelqu’un qui cherche simplement de gagner sa vie parmi milles difficultés…
Voilà alors que Nouredinne, seul et en proie à la panique, décide de prendre de l’essence, de la verser sur son corps et de se mettre le feu. Ce-ci est le résultat du désespoir, fils de la répression quotidienne envers les immigrés, les pauvres, les sans papiers.
A Palerme est en vigueur, depuis l’année passée, la tristement célèbre ordonnance pour le «décorum urbain», une parmi les plusieurs mesures avec lesquelles – en toute le pays – les maires appliquent les directives du «paquet sécurité ». La légalité montre son vrai visage : exercice du pouvoir pour écraser les plus faibles. Selon cette logique, la «sécurité» est garantie poursuivant les sujets plus vulnérables, comme si le véritable problème de cette ville soit les gens qui nettoient les vitres aux feux ou les ambulants qui vendent leurs trucs sur les trottoirs.
Nouredinne voulait simplement travailler tranquille et son geste est un crie assourdissant contre l’injustice et la criminalité du pouvoir. Nous, ce crie, l’entendons en le jetant en face aux responsables de la souffrance de Nouredinne et de toutes et tous qui, comme lui, tous les jours subissent ces abus.

TOUS UNIS CONTRE LE POUVOIR ET L'INJUSTICE!

Coordination Anarchiste Palermitaine

sabato 12 febbraio 2011

DISERTARE IL PATRIARCATO, RIVOLTARSI CONTRO IL POTERE

In questa giornata di mobilitazione il nostro primo pensiero lo rivolgiamo a Jennifer Eguavoen, una giovane donna sgozzata in casa e morta per strada, in via Calderai, nel cuore antico di questa città feroce.
Jennifer era nigeriana, non aveva i documenti, era marchiata dallo Stato come “clandestina”, e non si sa neppure con esattezza quanti anni avesse.
La storia di Jennifer è simile a quella delle tante, troppe donne offese e uccise dalla violenza del patriarcato. A tutte loro dedichiamo il nostro affetto e il nostro impegno militante.

Questo paese vive uno dei periodi più bui della sua storia recente. L’inadeguatezza della classe dirigente ha svelato le sue cause profonde e grottesche in uno scenario di incredibile squallore. Le stanze dei bottoni sono i privé, e viceversa. Lo spettacolo della politica e la politica dello spettacolo sono una cosa sola, ed è sotto gli occhi di tutti.

Il corpo delle donne è in vendita. Si tratta di una mercificazione funzionale al raggiungimento del successo, del potere, della notorietà. Il favore sessuale, la compravendita dei corpi, l’arrendevolezza ai capricci dei potenti sono tutti elementi strutturali di un sistema impregnato di maschilismo, e giustificato proprio da quelle donne che il potere cercano e del potere vivono.
Non è, quindi, solo un problema di banalizzazione della sessualità e dei rapporti umani. E non è nemmeno la classica prostituzione. Quella che viene svelata, ogni giorno che passa, è la disumanità del potere in quanto tale. Una visione dell’esistente che accomuna tutti, donne e uomini, nella volontà di sopraffare gli altri, svuotandoli della dignità, riducendoli a oggetti di dominio.

Oggi a sentirsi insultate non sono solo le donne. Ogni giorno tutti noi ci sentiamo insultati.
Ci sentiamo offesi dalla brutalità di questo sistema basato sullo sfruttamento di ogni essere, sul precariato, sulla mancanza di diritti, sulla disuguaglianza economica, sul razzismo, sulla discriminazione, sul moralismo, sull’oppressione clericale, sulla violenza del patriarcato, sulla mercificazione dei corpi e dei sentimenti, sulla mistificazione dei valori, sulla alienazione dei rapporti sociali.
Ben vengano, dunque, gli scandali che scoperchiano la verità. Ma non bisogna perdere di vista gli assetti generali e profondi di questa società che, così com’è ridotta, non può più andare avanti.
Non è più tempo di difendere soltanto la dignità. È tempo di rivoltarci contro il potere, tutti quanti insieme, per riappropriarci della libertà.

Coordinamento Anarchico Palermitano

13/02/2011

venerdì 28 gennaio 2011

NÉ SCHIAVI NÉ DISOCCUPATI


Quanto sta accadendo oggi ai lavoratori e alle lavoratrici della Fiat è la naturale prosecuzione di un lungo e sistematico progetto di cancellazione dei diritti di tutti i lavoratori.
Nel 1990 la Legge 146 cominciò a limitare pericolosamente il diritto di sciopero; poi venne l'abolizione della scala mobile nel 1992; successivamente, l'accordo del 23 luglio '93 sancì l'inizio della concertazione (la logica perversa secondo cui le rivendicazioni dei lavoratori devono essere compatibili con gli obiettivi di produttività e di politica economica aziendale); poi fu la volta del referendum abrogativo dell'art. 19 dello Statuto dei lavoratori del '95 con cui fu assestato un primo duro colpo ai diritti sindacali. Infine, la Legge 30 del 2003 (anche se potremmo citare molti altri accordi schiavisti e liberticidi), proseguendo l'opera nefasta del "pacchetto-Treu", ha imposto il cancro della precarietà come soluzione ai problemi di occupazione del paese.

Purtroppo, la risposta ai pesanti attacchi ai diritti dei lavoratori non è mai stata unitaria e, soprattutto da parte di alcuni settori sindacali, non è mai stata all'altezza della situazione.
Oggi, con la scusa della crisi, viene spianata la strada a Marchionne il quale – con la complicità del padronato italiano, dei sindacati compiacenti e della classe politica – si fa esecutore materiale di un altro violentissimo colpo alla libert&agrav e; dei lavoratori.
Quanto accaduto negli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori è la prova generale di un più ampio disegno criminale teso a mettere in discussione il concetto di lavoro così come lo conosciamo per sostituirlo a pieno titolo con rapporti di schiavitù. Il dissenso non è contemplato né tanto meno tollerato: si smantella il già traballante sistema di rappresentanza sindacale, si criminalizza il lavoratore, lo si ricatta, gli si scaricano addosso responsabilità che non gli appartengono. Non è colpa degli attuali ritmi di produzione, infatti, se le fabbriche chiudono e i padroni delocalizzano, ma è colpa del sistema che – inadatto a garantire una qualità di vita dignitosa per tutti – ha bisogno di inasprire costantemente forme e metodologie di sfruttamento per mantenere se stesso.
I lavoratori che hanno votato SÌ all'accordo lo hanno fatto perché r icattati: senza chiedergli alcunché in merito al contenuto del nuovo contratto, con la minaccia di chiudere la fabbrica in caso di vittoria dei NO, sono stati indotti a credere che non ci fosse nessun'altra via d’uscita per non piombare nell’incubo della cassa integrazione prima, e in quello della disoccupazione poi. Invece, una via d'uscita c'è. Da Mirafiori, a Pomigliano, a Termini Imerese, bisogna farla finita con le burocrazie sindacali rilanciando l'unità dal basso dei lavoratori e l’autorganizzazione come metodi qualificanti per riconquistare i diritti negati, attraverso una rinnovata capacità politica degli sfruttati su vasta scala all'insegna della solidarietà attiva e dell’azione diretta.

La prospettiva non può limitarsi alla conservazione dell'esistente: il capitalismo uccide, e lo dimostra ogni giorno di più. Gli op erai, tutti i lavoratori, i precari, i disoccupati – siano essi italiani o immigrati – possono mettere alla porta i padroni e i politicanti cominciando a fare da sé, occupando i luoghi di lavoro, autogestendo la produzione, riprendendo in mano il loro destino.
Contro questo gioco al massacro chiamato capitalismo, bisogna rilanciare l'azione diretta e l'autogestione, qui e ora, per spezzare le catene e costruire un futuro degno di essere vissuto a chi verrà dopo di noi.

Collettivo Studentesco Antiautoritario
Anarchici Trapanesi
Coordinamento Anarchico Palermitano


sabato 15 gennaio 2011

SOLIDARIETÀ AL POPOLO TUNISINO IN LOTTA

Nelle ultime settimane i paesi del Nordafrica – Tunisia e Algeria su tutti – sono stati incendiati da manifestazioni di piazza e proteste contro il caro-vita e la povertà: le rivolte del pane.
La repressione è stata durissima, soprattutto in Tunisia: decine di morti ammazzati dalla polizia, centinaia di arresti, l’esercito nelle strade, coprifuoco al tramonto.
La Repubblica tunisina risponde con la violenza alle rivendicazioni di un popolo affamato di pane e di libertà.

La crisi economica morde tutti, specialmente i più poveri. Quello che sappiamo della Tunisia si limita spesso alle immagini da cartolina: villaggi vacanze e suggestive visite guidate tra le oasi del deserto. La dura realtà, invece, è quella di un paese economicamente arretrato, specialmente nelle zone interne e meridionali, con un tasso di disoccupazione giovanile altissimo. Nonostante un buon livello di istruzione, i diplomati e i laureati tunisini non riescono a trovare lavoro e sono costretti a emigrare. Sono quegli stessi ragazzi che si imbarcano alla volta dell’Italia, che si umiliano a spaccarsi la schiena nella clandestinità delle leggi razziste e poi finiscono nel mirino della repressione nel nostro paese.

In Tunisia i prezzi dei generi alimentari sono schizzati alle stelle. Per questo è scoppiata la rivolta. Ma in Tunisia c’è anche fame di libertà. Da venticinque anni, infatti, il paese è dominato da una dittatura mascherata da repubblica presidenziale guidata da Ben Alì, un personaggio che tiene in pugno ogni aspetto della vita sociale e politica del paese. In Tunisia non c’è libertà di stampa e di opinione, internet è censurata, la polizia controlla tutto e tutti.
La rivolta del pane e della libertà in Tunisia è anche una rivolta contro la capillare corruzione del sistema, una corruzione che non consente il libero sviluppo delle potenzialità di una società giovane ma senza futuro.

Dopo alcuni giorni di conflitto, sembra che il popolo tunisino abbia ottenuto alcune prime importanti vittorie: Ben Alì ha annunciato il controllo sui prezzi degli alimenti, ha rimosso il ministro dell’interno, ha ordinato il cessate il fuoco, ha promesso libertà di stampa e di opinione, ha promesso che non si ricandiderà alle prossime “elezioni”. Vedremo.

Intanto, i ceti politici e gli organi di stampa europei cercano di criminalizzare la rivolta tunisina agitando lo spauracchio del terrorismo islamico: segno evidente del nervosismo con cui le élites occidentali osservano i fermenti che mettono in discussione i rapporti di forza in questa parte del mondo.
Noi, invece, esprimiamo tutta la nostra solidarietà internazionalista alle donne e agli uomini che in Tunisia, e in tutto il Maghreb, stanno lottando per il pane e la libertà, per la dignità e il futuro. Le lotte dei popoli sono anche le nostre lotte: contro gli stati, contro i governi, contro i padroni, per la rivoluzione sociale oltre ogni frontiera.

Coordinamento Anarchico Palermitano