Palermo, 8 luglio 1960-2010
Nei primi anni ’60, in Italia, i flussi migratori interni, il passaggio dell’industria alla produzione di massa, il veloce sviluppo dell’economia del dopoguerra creano scompensi difficili da arginare.
Si fa strada la crisi della rappresentanza di partiti e sindacati davanti al forte malcontento della classe lavoratrice che deve fare i conti con la chiusura delle fabbriche e con molti licenziamenti.
In quegli anni, lo stato italiano è privo di una reale cultura democratica. Prefetti, funzionari di polizia e anche molti esponenti politici sono le stesse persone che avevano fatto la loro fortuna durante il fascismo. Le istituzioni non si sono mai veramente defascistizzate anche a causa dell’opportunismo della sinistra parlamentare costituita da Partito Comunista e Partito Socialista.
Dall’aprile 1960 c’è il governo Tambroni, formato dalla sola Democrazia Cristiana e appoggiato dai voti determinanti dei fascisti del Movimento Sociale Italiano (MSI). È la prima volta che succede, da quando il fascismo è caduto ed è nata la Repubblica.
L’8 luglio è sciopero generale. Pochi giorni prima, l’insurrezione popolare di Genova aveva impedito che in quella città, medaglia d’oro della Resistenza, si svolgesse il VI Congresso nazionale del MSI. In tutta Italia si tengono manifestazioni operaie e antifasciste in cui la polizia spara e ammazza: Reggio Emilia, Roma, Catania, Licata, Palermo.
A Palermo il corteo operaio è blindato da uno schieramento di polizia imponente. L’ordine è di disperdere la folla a qualsiasi costo. Improvvisamente iniziano le cariche. La celere assale brutalmente il corteo con le jeep spinte a velocità.
I manifestanti si difendono lanciando sassi, bastoni e quello che trovano. La zona fra il Teatro Massimo e piazza Politeama si trasforma in un campo di battaglia. Viene eretta una barricata al centro della strada, ma a questo punto i celerini cominciano a sparare sulla folla.
Muoiono ammazzati dalla polizia:
Oggi, a cinquant’anni di distanza, i fascisti sono saldamente al timone delle istituzioni.
Oggi, a cinquant’anni di distanza le forze di polizia picchiano e ammazzano impunemente non solo nelle manifestazioni, ma anche per le strade e nelle carceri: da Carlo Giuliani a Federico Aldrovandi, da Stefano Cucchi a Marcello Lonzi, ecc.
Oggi, a cinquant’anni di distanza, “democrazia” è una parola vuota che racconta un paese mortificato dalla sua classe politica, terrorizzato da politiche autoritarie e razziste, soffocato da una crisi economica provocata dai padroni e dal capitalismo.
Oggi, a cinquant’anni di distanza, il ricordo di chi è morto sulla strada della libertà serve a rinnovare il nostro impegno a resistere contro ogni fascismo e a rilanciare la lotta per una società veramente libera dalla brutalità dello stato e del capitale.
Si fa strada la crisi della rappresentanza di partiti e sindacati davanti al forte malcontento della classe lavoratrice che deve fare i conti con la chiusura delle fabbriche e con molti licenziamenti.
In quegli anni, lo stato italiano è privo di una reale cultura democratica. Prefetti, funzionari di polizia e anche molti esponenti politici sono le stesse persone che avevano fatto la loro fortuna durante il fascismo. Le istituzioni non si sono mai veramente defascistizzate anche a causa dell’opportunismo della sinistra parlamentare costituita da Partito Comunista e Partito Socialista.
Dall’aprile 1960 c’è il governo Tambroni, formato dalla sola Democrazia Cristiana e appoggiato dai voti determinanti dei fascisti del Movimento Sociale Italiano (MSI). È la prima volta che succede, da quando il fascismo è caduto ed è nata la Repubblica.
L’8 luglio è sciopero generale. Pochi giorni prima, l’insurrezione popolare di Genova aveva impedito che in quella città, medaglia d’oro della Resistenza, si svolgesse il VI Congresso nazionale del MSI. In tutta Italia si tengono manifestazioni operaie e antifasciste in cui la polizia spara e ammazza: Reggio Emilia, Roma, Catania, Licata, Palermo.
A Palermo il corteo operaio è blindato da uno schieramento di polizia imponente. L’ordine è di disperdere la folla a qualsiasi costo. Improvvisamente iniziano le cariche. La celere assale brutalmente il corteo con le jeep spinte a velocità.
I manifestanti si difendono lanciando sassi, bastoni e quello che trovano. La zona fra il Teatro Massimo e piazza Politeama si trasforma in un campo di battaglia. Viene eretta una barricata al centro della strada, ma a questo punto i celerini cominciano a sparare sulla folla.
Muoiono ammazzati dalla polizia:
Giuseppe Malleo, 16 anni
Andrea Gangitano, 14 anni
Francesco Vella operaio di 42 anni
Rosa La Barbera, 53 anni
Andrea Gangitano, 14 anni
Francesco Vella operaio di 42 anni
Rosa La Barbera, 53 anni
Oggi, a cinquant’anni di distanza, i fascisti sono saldamente al timone delle istituzioni.
Oggi, a cinquant’anni di distanza le forze di polizia picchiano e ammazzano impunemente non solo nelle manifestazioni, ma anche per le strade e nelle carceri: da Carlo Giuliani a Federico Aldrovandi, da Stefano Cucchi a Marcello Lonzi, ecc.
Oggi, a cinquant’anni di distanza, “democrazia” è una parola vuota che racconta un paese mortificato dalla sua classe politica, terrorizzato da politiche autoritarie e razziste, soffocato da una crisi economica provocata dai padroni e dal capitalismo.
Oggi, a cinquant’anni di distanza, il ricordo di chi è morto sulla strada della libertà serve a rinnovare il nostro impegno a resistere contro ogni fascismo e a rilanciare la lotta per una società veramente libera dalla brutalità dello stato e del capitale.
Coordinamento Anarchico Palermitano
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